L’antropologia è una materia che ho sempre sentito affine e a cui mi sono sempre interessato, anche se solo attraverso letture personali e i pochi esami da me sostenuti durante gli anni dell’Università. Per questo quando l’autore Lucio Schina mi ha proposto una collaborazione e quindi di leggere e recensire il suo romanzo, I Viaggi dell’Antropologo, ho accettato senza remora alcuna.
Schina è laureato in discipline demo-etno-antropologiche, ha effettuato scavi nel Lazio e in Puglia. Ha collaborato, in qualità di archeologo, con la Soprintendenza di Roma. Possiamo parlare quindi di un professionista che nel suo romanzo (pubblicazione self su Amazon) è riuscito a fondere la propria professione a un genere veramente difficile come il “romanzo d’avventura” dai risvolti fantasy. Scienza e fantastico, quindi: un’accoppiata che sembrerebbe impossibile ma che, nel romanzo in oggetto, funziona molto bene.
La vita dell’archeologo può essere, in ogni caso, avventurosa di per sé: viaggi in giro per il mondo, scavi immersi in luoghi suggestivi e spesse volte lontani dalla “civiltà”, contatti con la natura incontaminata e bagnati di storia antica, di culture dimenticate, di preistoriche concezioni della società e dei suoi paradigmi. Un romanzo d’avventura con protagonista un antropologo sognatore è quindi perfettamente in linea non solo con l’immagine “romantica” che in molti abbiamo di questa professione ma, soprattutto, con la verità fattuale. Dimenticate quindi l’antropologo inteso come accademico immerso tra le pagine di un libro in una biblioteca e immergetevi in questa storia dai risvolti estremamente letterari.
Il giovane antropologo Davide Chisan si reca in Libia per studiare le raffigurazioni rupestri preistoriche scoperte in pieno deserto Sahariano. Alla spedizione si aggiunge una giovane ricercatrice del luogo. Durante la spedizione, i protagonisti si ritroveranno immersi in un misterioso mondo di magia, dove la razionalità sarà messa a dura prova dalle esperienze che vivranno. Un viaggio catartico verso la scoperta del sé, alla ricerca della vera essenza spirituale, nascosta da millenni tra le dune sabbiose del deserto.
Davide Chisan è tante cose: un antropologo, un archeologo, un professore. Ma, soprattutto, Davide è un sognatore. Uno studioso non ancora pronto a lasciarsi andare ai dogmi, che tenta di infrangere i canoni. Uno scienziato delle culture antiche alla ricerca di qualcosa: quel filo conduttore che permetta di legare la storia di civiltà antiche facendo emergere una sorta di continuità culturale. Perché non può accettare che tutto si riduca ad una sterile scoperta e classificazione dei reperti archeologici: i reperti devono essere parte di un puzzle che porti ad una visione più ampia, ad un senso più grande che renda le antiche civiltà che li hanno prodotti degli agglomerati di credenze, sogni, passioni. Che le renda vive e reali al di là dei confini spazio-temporali.
La sua “missione” e le sue idee, come spesso accade, suscitano nei suo colleghi per lo più scetticismo e derisione. Ma forse le raffigurazioni rupestri scoperte nel pieno del deserto sahariano in Libia daranno lui la possibilità di trovare quel che cerca da sempre. Ed è così che il suo viaggio ha inizio, un viaggio che lo porterà verso mete che non avrebbe mai creduto di poter raggiungere. Proprio in questo sta la bellezza del romanzo: nella possibilità di trasformare una spedizione scientifica in un percorso spirituale dai risvolti fantastici. Tutto ciò rende I Viaggi dell’Antropologo un fantasy atipico, una lettura da interiorizzare e fare propria. L’abilità dell’autore, che si riflette in una scrittura senza sbavature, sintatticamente ben costruita e caratterizzata da uno stile assimilabile a quello italiano della seconda metà del ‘900, sta nel far emergere una positività illuminante e valori che trascendono il pessimismo della nostra contemporaneità. Lucio Schina non si lascia andare a colpi di scena o ad una scrittura incalzante, il suo stile è riflessivo e la sua storia procede narrata da due distinti punti di vista: quello del protagonista Prof. Chisan e quello della dottoressa Janir, archeologa in ascesa diametralmente opposta a Davide nel concepire antropologia e archeologia. Ciò permette di immedesimarsi non solo nei due personaggi, che risaltano in maniera ineccepibile, ma di osservare i fatti dal loro punto di vista per gustarne le sfumature. La componente romance, poi, permette di dare dinamismo alle vicende anche da un punto di vista “umano”, personale.
Detto questo, non tutto mi è piaciuto, perché mi sarei aspettato un approfondimento di alcune dinamiche verso il finale, un tirare le somme che però non arriva mai. Approfondimento e somme che l’autore non concede volutamente: non è una storia in cui succedono cose, ma in cui si intraprende un viaggio che però, a mio parere, verso il suo concludersi resta appannaggio dei soli protagonisti senza aprirsi al lettore.
Dal punto di vista stilistico ci troviamo nei pressi dell’ineccepibile grazie ad una scrittura chiara e splendidamente corretta, curata.
I Viaggi dell’Antropologo è un romanzo oserei dire “spirituale”, non adatto a chi cerca una lettura basata sull’azione, ma che darà a chi ama soffermarsi sui concetti l’occasione per entrare in una dimensione “altra”, riflessiva e affascinante.
Ringrazio l’autore per avermi dato l’opportunità di leggere e di parlare del suo romanzo. Il libro è disponibile su Amazon sia in formato cartaceo che digitale. Ecco il link: I viaggi dell’antropologo